Povertà, carestie, epidemie, alluvioni, innalzamento delle tasse e riforme agrarie sono state nel tempo e nei diversi contesti alcune delle cause che hanno spinto migliaia di persone ad abbandonare la loro terra. In molti hanno dovuto calpestare suoli sconosciuti, deforestare e dissodare campi per far crescere cereali, ortaggi o alberi da frutto lì dove il clima e il territorio obbligavano ad adeguare tecniche di coltivazione sperimentate da secoli. Così anche le viti hanno scavalcato le Alpi e solcato gli Oceani nascoste nel fondo dei sacchi di iuta o nei bauli, a volte infilate nelle patate per resistere al viaggio, oppure celate nella loro vera identità per aggirare i controlli doganali. Come nel caso dello Zibibbo, trasportato in una barca da una famiglia fin sulle spiagge della vicina Tunisia, nella forma intrecciata di una gabbia per galline (piena) che non destando sospetti è riuscito ad attecchire anche lì dove i francesi proteggevano le loro coltivazioni. E’sempre grazie al lavoro tenace degli italiani se nel piccolo villaggio di Otávio Rocha, nel Sud del Brasile, le strade sono intitolate a vitigni italiani. Così si può tranquillamente passeggiare tra Rua Bonarda, Rua Moscato o Rua Uva Italia e trovare tra le verdi colline paesaggi caratterizzati da colonne con leoni alati, da pentole per la polenta al centro di una piazza, o da una gondola o da una lupa statuaria per testimoniare la presenza dei coloni italiani che nei decenni hanno profondamente trasformato il territorio. L’ingegno dei migranti riusciva a trovare soluzioni anche creative e inaspettate per poter bere un bicchiere di vino capace di far riemergere nella memoria il sapore e le emozioni vissute in Madre Patria. I tanti emigranti inurbati nel nord degli Stati Uniti o nel sud del Canada, ad esempio, non potendo utilizzare botti e cantine non avevano altra possibilità che comperare il mostro e trasformarlo in vino…nella vasca da bagno. Altri emigranti a sud del Tropico del Capricorno, invece, nelle fitte foreste brasiliane, costruivano case con cantina lasciando segni oggi ancora tangibili nel territorio. Prima di loro nessuno aveva la cantina dove produrre e conservare il vino, pur se i primi tedeschi delle colonie avevano introdotto la vitivinicoltura. Sulle orme dei primi missionari italiani che introducevano vitigni e vigne tra le genti da evangelizzare, molti migranti hanno profondamente trasformato il territorio con segni dell’identità italiana ad ogni latitudine. Alle pendici del vulcano Fago, ad esempio, i vigneti impiantati da un missionario italiano rendono verde un territorio altrimenti spoglio e battuto dal sole, oppure a Betlemme, dove i vigneti realizzati dai salesiani lottano ogni giorno con il muro costruito dagli israeliani per dividere le terre. Trentini, veneti, calabresi, siciliani o di ogni altra regione, i migranti portavano vitigni delle loro terre, portavano tecniche sperimentate (filari, tendoni, pergole, doppie pergole, …), introducevano nei paesi di destinazione vitigni italiani ma anche alberi sui quali appoggiare i tendoni (come nel Rio Grande do Sul dove importarono i platani) o tradizioni ancora oggi presenti. I toponimi parlano della loro storia: colonie, cittadine, strade , chiese. I paesaggi mischiano elementi locali ad elementi tipici dei paesaggi italiani, al punto che si può passeggiare nei vigneti realizzati dai migranti nel mondo e sentirsi un po’ in Italia. Se è soprattutto in America e in Australia che i gesti preziosi degli emigranti hanno realizzato nel tempo vigneti e paesaggi dai “sapori italiani”, nella vicina Europa, invece, la presenza consolidata di esperti vitivinicoltori e gli spazi già “occupati” hanno spinto i nostri emigranti ad inserirsi all’interno di una struttura vitivinicola già esistente lavorando nelle aziende straniere, finendo per lasciare segni molto meno vistosi della loro presenza e del loro lavoro. Ma la sapienza italiana continua ancora oggi a travalicare i confini per formare giovani vitivinicoltori in quei mercati emergenti che guardano alla tradizione della Penisola come ad un faro nella notte. In India e in Cina gli enologi italiani insegnano tecniche di coltivazione e di trasformazione per consumatori sempre più esigenti. E’di questo e di tanto altro che parlano le 205 pagine del volume Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo, realizzato da 24 autori/autrici e a cura della scrivente e di Delfina Licata per i tipi della Bruno Mondadori. Pagine piene di memoria, di emozioni, di foto d’epoca e di disegni giovanili, pagine che raccontano sconfitte e sogni realizzati, che parlano di uomini e donne coraggiosi e disperati che trovavano conforto e unità in un bicchiere di vino, pagine piene dei colori e delle forme dei vitigni trasportati e sdoganati, da non dimenticare e da valorizzare.

I nostri vitigni conquistano il mondo / Cristaldi, Flavia. - In: CIVILTA' DEL BERE. - ISSN 0390-1572. - STAMPA. - 04:(2018), pp. 21-21.

I nostri vitigni conquistano il mondo

Cristaldi Flavia
2018

Abstract

Povertà, carestie, epidemie, alluvioni, innalzamento delle tasse e riforme agrarie sono state nel tempo e nei diversi contesti alcune delle cause che hanno spinto migliaia di persone ad abbandonare la loro terra. In molti hanno dovuto calpestare suoli sconosciuti, deforestare e dissodare campi per far crescere cereali, ortaggi o alberi da frutto lì dove il clima e il territorio obbligavano ad adeguare tecniche di coltivazione sperimentate da secoli. Così anche le viti hanno scavalcato le Alpi e solcato gli Oceani nascoste nel fondo dei sacchi di iuta o nei bauli, a volte infilate nelle patate per resistere al viaggio, oppure celate nella loro vera identità per aggirare i controlli doganali. Come nel caso dello Zibibbo, trasportato in una barca da una famiglia fin sulle spiagge della vicina Tunisia, nella forma intrecciata di una gabbia per galline (piena) che non destando sospetti è riuscito ad attecchire anche lì dove i francesi proteggevano le loro coltivazioni. E’sempre grazie al lavoro tenace degli italiani se nel piccolo villaggio di Otávio Rocha, nel Sud del Brasile, le strade sono intitolate a vitigni italiani. Così si può tranquillamente passeggiare tra Rua Bonarda, Rua Moscato o Rua Uva Italia e trovare tra le verdi colline paesaggi caratterizzati da colonne con leoni alati, da pentole per la polenta al centro di una piazza, o da una gondola o da una lupa statuaria per testimoniare la presenza dei coloni italiani che nei decenni hanno profondamente trasformato il territorio. L’ingegno dei migranti riusciva a trovare soluzioni anche creative e inaspettate per poter bere un bicchiere di vino capace di far riemergere nella memoria il sapore e le emozioni vissute in Madre Patria. I tanti emigranti inurbati nel nord degli Stati Uniti o nel sud del Canada, ad esempio, non potendo utilizzare botti e cantine non avevano altra possibilità che comperare il mostro e trasformarlo in vino…nella vasca da bagno. Altri emigranti a sud del Tropico del Capricorno, invece, nelle fitte foreste brasiliane, costruivano case con cantina lasciando segni oggi ancora tangibili nel territorio. Prima di loro nessuno aveva la cantina dove produrre e conservare il vino, pur se i primi tedeschi delle colonie avevano introdotto la vitivinicoltura. Sulle orme dei primi missionari italiani che introducevano vitigni e vigne tra le genti da evangelizzare, molti migranti hanno profondamente trasformato il territorio con segni dell’identità italiana ad ogni latitudine. Alle pendici del vulcano Fago, ad esempio, i vigneti impiantati da un missionario italiano rendono verde un territorio altrimenti spoglio e battuto dal sole, oppure a Betlemme, dove i vigneti realizzati dai salesiani lottano ogni giorno con il muro costruito dagli israeliani per dividere le terre. Trentini, veneti, calabresi, siciliani o di ogni altra regione, i migranti portavano vitigni delle loro terre, portavano tecniche sperimentate (filari, tendoni, pergole, doppie pergole, …), introducevano nei paesi di destinazione vitigni italiani ma anche alberi sui quali appoggiare i tendoni (come nel Rio Grande do Sul dove importarono i platani) o tradizioni ancora oggi presenti. I toponimi parlano della loro storia: colonie, cittadine, strade , chiese. I paesaggi mischiano elementi locali ad elementi tipici dei paesaggi italiani, al punto che si può passeggiare nei vigneti realizzati dai migranti nel mondo e sentirsi un po’ in Italia. Se è soprattutto in America e in Australia che i gesti preziosi degli emigranti hanno realizzato nel tempo vigneti e paesaggi dai “sapori italiani”, nella vicina Europa, invece, la presenza consolidata di esperti vitivinicoltori e gli spazi già “occupati” hanno spinto i nostri emigranti ad inserirsi all’interno di una struttura vitivinicola già esistente lavorando nelle aziende straniere, finendo per lasciare segni molto meno vistosi della loro presenza e del loro lavoro. Ma la sapienza italiana continua ancora oggi a travalicare i confini per formare giovani vitivinicoltori in quei mercati emergenti che guardano alla tradizione della Penisola come ad un faro nella notte. In India e in Cina gli enologi italiani insegnano tecniche di coltivazione e di trasformazione per consumatori sempre più esigenti. E’di questo e di tanto altro che parlano le 205 pagine del volume Nel solco degli emigranti. I vitigni italiani alla conquista del mondo, realizzato da 24 autori/autrici e a cura della scrivente e di Delfina Licata per i tipi della Bruno Mondadori. Pagine piene di memoria, di emozioni, di foto d’epoca e di disegni giovanili, pagine che raccontano sconfitte e sogni realizzati, che parlano di uomini e donne coraggiosi e disperati che trovavano conforto e unità in un bicchiere di vino, pagine piene dei colori e delle forme dei vitigni trasportati e sdoganati, da non dimenticare e da valorizzare.
2018
emigrazione; Italia; vitivinicoltura
01 Pubblicazione su rivista::01a Articolo in rivista
I nostri vitigni conquistano il mondo / Cristaldi, Flavia. - In: CIVILTA' DEL BERE. - ISSN 0390-1572. - STAMPA. - 04:(2018), pp. 21-21.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11573/1130793
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